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Un percorso nel colore
Dai "Racconti dei campi” ai “Cieli alti” ai “Codici”
Antologica di Silvio Gagno 1982–2008



ABANO TERME (PD), Hotel Smeraldo
20 dicembre 2014 - 6 gennaio 2015

Le opere dell'antologica sono formate dalla Collezione Peghin, da nuove acquisizioni e da opere di proprietà dell'artista
I testi di Eugenio Manzato e di Giorgio Segato sono tratti da "L'amicizia dipinta" catalogo delle opere di Silvio Gagno nella collezione Peghin 1975 - 2005

SILVIO GAGNO NELLA COLLEZIONE PEGHIN
L' 'incontro fra Silvio Gagno e Anna Peghin risale al 1977: l’occasione è una iniziativa rivolta all’animazione culturale degli alberghi della catena “Hotelgest” attraverso mostre di artisti  italiani, nell’ambito della quale anche Silvio presenta un’antologia di opere. È Anna Peghin, a fine mostra, a scegliere personalmente, e con grande determinazione, la prima opera della futura collezione: Domenica al Piave.
Inizia in questo modo un sodalizio “mecenate-artista” che si rivelerà in prosieguo ricco e intenso.
A partire dal 1985 infatti Anna Peghin decide di mettere a disposizione di Silvio Gagno uno studio in una delle sue “case”, come ella chiama affettuosamente gli alberghi: una vasta mansarda sul tetto dell’Hotel Meridianus a Lignano, di cui Silvio ama il mare e le amene pinete.
Nelle sale di soggiorno il pittore espone durante l’estate le opere recenti, mentre all’ultimo piano lavora intensamente. Fin dalla prima stagione la sistemazione si rivela stimolante e proficua per l’ispirazione di Silvio Gagno: nasce il ciclo “Favole d’estate”, in cui si libera un estro fantasioso che distilla gli elementi primari – cielo, mare, la grande pineta – in dipinti di lirica intensità. L’esuberanza creativa riverbera l’architettura dell’albergo: nastri colorati garriscono al vento sulle terrazze, legano i pini del giardino, coinvolgono gli ospiti in una sorta di festa permanente.
Negli anni successivi la presenza di Silvio nel corso dell’estate anima le serate: come un artista in una corte del Rinascimento, egli organizza le feste, allestisce fastose nature morte di frutti fiori e fronde, intrattiene gli ospiti con i suoi dipinti e con fantasiose invenzioni.
Gli ospiti sono spesso personaggi importanti: Silvio stabilisce rapporti, intreccia amicizie che si riveleranno oltremodo utili alla sua attività. Nascono progetti di mostre che egli realizzerà in Austria, in Germania, in Svizzera attraverso le conoscenze stabilite a Lignano.
Nel 1987 nasce un ciclo di importanza fondamentale: i “Cieli alti” che daranno il nome allo studio. Fin dal trittico che ne sancisce l’inizio, in cui rimane una traccia di orizzonte – l’estrema nostalgia di un’isola terrena prima di lanciarsi nell’avventura ignota e affascinante – l’artista si protende in ardito galoppo “Sopra il limite della pineta”, fino ai “notturni” balenanti di epica luce in cui egli ci trascina nel suo incantato stupore, comunicando il fascino e l’emozione della scoperta.
Il rapporto evolve in fraterna amicizia e coinvolge i membri della famiglia: Anna si rivolge a Silvio chiamandolo “maestro”, ed egli la ricambia con il titolo di “imperatrice”.
L’imperatrice compie puntate frequenti nello studio, talora a sorpresa: ha intuito, gusti sicuri, vede e valuta, e alla fine della stagione sceglie con decisione. Entrano nella collezione il Trittico, che andrà a decorare l’atrio dell’Hotel Smeraldo di Abano, Alba nella nebbia, Vento nella pineta, Temporale di notte quando mare e laguna si incontrano, Colori della sera e altri.
Talora, in una visita allo studio, si innamora di un’opera in corso: in un caso, Aurora, decide di interrompere il lavoro, le piace così, in uno stadio di incompiutezza che ne rivela appieno l’intuizione sorgiva. È significativo che in seguito Silvio Gagno realizzi un tipo di pittura con simili connotazioni: Anna Peghin ne ha in qualche modo previsto gli esiti.
L’apprezzamento per l’opera di Silvio giunge da parte di Anna alla commissione diretta: per vivacizzare la grande sala da pranzo dell’Hotel Smeraldo, non solo acquisisce alcune opere, ma gli chiede di realizzare due grandi luminosi dipinti, Canto libero e Sorgente.
Inoltre l’artista decora, dietro sua richiesta, la facciata della sede della Blowtherm a Camposampiero, con una composizione colorata e solare.
La collezione di Anna Peghin, che prosegue con opere di anni recenti – Aitante e sicuro passa l’ulivo (1999), Tramonto sul Tagliamento (2002), Il risveglio (2003) – e si conclude con due dipinti del ciclo “Codici”, che appartengono all’ultima produzione dell’artista, si impone per coerenza e completezza: si configura quale sceltissima antologia in grado di illustrare compiutamente il percorso trentennale di Silvio Gagno.

Gennaio 2006                                                                                            Eugenio Manzato



SILVIO GAGNO - SINFONIE DI CODICI
Quasi un quarto di secolo è trascorso dal mio primo intervento critico sull’opera pittorica di Silvio Gagno. Mettevo allora in risalto la sua capacità di fondere emozione pittorica e musicale, raggiungendo i livelli più alti di espressività e di coinvolgimento. Raccontavano, le opere di allora, di una spazialità notturna e del tutto interiorizzata, aerea, marina, o di onirica trasparenza della terra, a mostrare come l’humus sia sostanza umana, come le radici vere dell’uomo siano nella terra, e come egli appartenga indissolubilmente alla natura: il tutto entro leggere atmosfere mosse, come per golfi di quiete e di slancio ( e di sogno) con andamenti curvilinei, modulazioni musicali del gesto, del segno, in onde di emozione che coniugano realtà e sogno, fisico e psichico.
Da allora Gagno mi ha tenuto aggiornato sul suo lavoro, sui percorsi ( ben testimoniati dalla bella collezione altamente selettiva qui presentata), sulle scelte tematiche, sull’adeguamento stilistico e formale, con cataloghi delle mostre e, di tanto in tanto, in qualche sporadico incontro, o in prolungate telefonate esplicative. Perché Silvio Gagno ama molto i suoi quadri, parlare dei suoi quadri, del suo operare col colore, ‘nel’ colore è forse meglio dire, sia per le misure spesso ampie ed assorbenti nello spazio pittorico, sia per l’utilizzo delle cromie come definizione di atmosfere leggere, nelle quali sentirsi totalmente immerso, rispondendo a una sorta di nostalgia panica della memoria dei sensi, armoniosa, ricca di segnali, di ‘codici’ non convenzionali sorpresi nell’aria, nell’acqua, nello spazio interno vissuto in continuità con quello esterno, come scritture cromatiche dell’anima e della natura, eventi musicali, ritmi, riflessi, segnali energetici che attraversano il campo dall’alto al basso , da sinistra a destra e viceversa. E’ dunque rimasto fedele a una spazialità da astrattista  lirico e gestuale, continuando in modo molto personale, dopo un avvio professionale antagonista (espressionismo figurale), la lezione fondamentale del Maestro d’Accademia Emilio Vedova: l’opera come trascrizione diretta  nel gesto, nel segno, nel colore. Mentre Vedova, tuttavia,  dà corpo, spazio, tramatura alla conflittualità, alla consapevolezza della complessità del dramma esistenziale, inventando nel gesto pittorico una sorta di comunicazione/liberazione in certo senso ‘dodecafonica e cacofonica’ a tutto corpo, fisica e psicologica insieme, Gagno tenta le vie della ricomposizione armonica, della ‘sinfonia’ misurata, per equilibri spesso di alta eleganza visiva e di gradevole sonorità cromatica, curando con attenzione l’espandersi dei campi, le vibrazioni dei segni, l’articolazione dei piani, l’equilibrio degli accostamenti.
Solo apparentemente, tuttavia,  c’è un rientro intimista, come sguardo dentro il pozzo senza fine della psiche, dentro i moti dell’animo, in realtà Gagno sembra aprirsi e coniugare efficacemente le voci di dentro e le voci della natura naturans, in una continuità di forte emozione panica, che ha momenti ora di profonda inflessione e momenti di alta estroflessione, con modulazioni cromatiche che vanno dalle pieghe d’ombra alle irradiazioni più luminose, dall’inquietudine segreta, vespertina  e notturna, all’esplosione gioiosa, solare. E’ spazio che si fa luce e luce che si fa spazio, in un’orchestrazione segnica sapiente e felice, e straordinariamente  ricca (soprattutto nel ciclo dei Codici ) di baluginii, di contrappunti, di riflessi ed echi. La tavolozza svaria per timbri e toni, da quelli sgargianti ai neri, dai rossi ai verdi e gialli saturi, con effetti che sembrano partire dai giochi di riflessi delle Ninfee di Monet, o, guardati da vicino, a vibrazioni elettroniche di perdita (o di ricerca) di sintonia televisiva e, ancora più accostati, intermittenze luminose di materia pulsante, che ora si addensa, ora  si volatilizza, tende a disperdersi per ricomporsi più in là, creando zone di più alta frequenza o di più dilatata trasparenza.
Il sapiente controllo del colore, per lo più disteso a pennello largo o modellato a spatoletta mette in movimento tutto il piano cromatico, lo espone al cangiare delle incidenze luminose e, dunque, a una costante animazione della superficie, che sembra annunciare disvelamenti di spazi ulteriori, di trame intraviste, di strutture in misteriosi orditi. In questo senso , la pittura di Silvio Gagno si offre a volte come soglia, passaggio, altre volte come diaframma ritmico, leggero, dinamico e armonioso, tra lo spazio presente, reale (e la nostra dimensione del tempo) e lo spazio oltre (il tempo del sogno, del desiderio, dell’utopia): tutto in un magico gioco  di rifrazioni di luce  che sollecitano la percezione ad acuirsi e a distendersi, a concentrarsi e a dilatarsi, in un respiro che segue l’agile ritmo dei colpi di colore.
In questa ricerca di movimento leggero e sempre di più smaterializzato, Gagno prima individua una sequenza, un ciclo di opere fortemente legato a una visione mnestica, a una memoria sensitiva doviziosa di evocazioni, di restituzioni in sfaccettature simultanee, di attraversamenti, nel fondersi di immaginario e di reale mai disgiunti dal fondamentale senso della natura. Piano piano le visioni, le urgenze espressive si abbassano, si acquietano, si semplificano, si fondono in contemplazioni oniriche notturne e mosse da brezze leggere, per linee sinusoidali, per golfi di modulazione melodica, di gesto lungo, libero da sintassi preordinate e davvero raffinato.
Sono gli anni in cui più a fondo l’artista si impegna nello studio e nell’esperienza diretta del colore, sviluppando aeree scritturazioni che esaltano il sentimento intimo della natura, della stagione, dell’ambiente, rinunciando sempre più al riferimento oggettivo, al disegno (da Racconti d’autunno 4 e 5 a Favole d’estate, ad Alberi innamorati ) o trasponendolo sul piano di una descrittività tutta concettuale (ciclo delle Sorgenti ) tra fluire dell’acqua e fibrillazione, fermentazione, germinazione della terra, della natura in senso lato, che si manifesta a Gagno vieppiù come Respiro , Canto libero e dilagante.
Poi è come se il pittore alzasse lo sguardo sopra l’orizzonte, a scoprire Cieli alti e i movimenti delle nuvole,  le variazioni cromatiche dell’aria nelle stagioni, nelle ore del giorno: aprirsi di una spazialità densa di accadimenti, ricca di variazioni di colore e di luce, di accensioni, adombramenti, di fervori dell’aria, o di Silenzi, come dilatarsi della meraviglia, dello stupore di fronte alla semplice, straordinaria  bellezza dei cieli estivi, dei riflessi lunari, dei profumi di stagione, delle vedute che diventano visione interiore, emozione intima e pura trascrizione cromatica, evento pittorico in cui entrare per empatia, lasciarsi immergere, senza più bisogno di racconto, dando alla pittura il massimo di autonomia nella rappresentazione della natura come energia, flusso senza soluzione di continuità tra spazio fisico e quello psichico, nella mobilità della luce/spazio/colore (Fosfeni).
Dicembre 2005                                                                                                       Giorgio Segato


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